Breve storia di Castelvetrano, palmosa civitas

Data di pubblicazione:
15 Marzo 2021
Breve storia di Castelvetrano, palmosa civitas

Tramontata da tempo l’ipotesi storiografica che voleva Castelvetrano fondata dai cosiddetti “veterani” selinuntini, la teoria che oggi appare più plausibile è quella che vede innestarsi le origini di Castelvetrano in quel particolare processo di trasform azione sociale, conseguenza della dominazione normanna, che va sotto il nome di “crisi del villanaggio”.

La scomparsa di tanti casali, a cui i nuclei familiari dei villani avevano dato vita, il concentrarsi dei contadini nei borghi col ruolo di stipendiari – ossia non più schiavi vincolati alla terra ma liberi lavoratori a giusta mercede – causò un processo di trasformazione sociale che ebbe come conseguenza il confluire di tanti lavoratori della terra, unitamente alle famiglie, dai campi al borgo che, per posizione, possibilità di difesa, punto d’incontro di vie di comunicazione, dava maggiore garanzia alla propria incolumità, maggiori possibilità di lavoro e di iniziative. Tale ipotesi è avvalorata dalla considerazione che, nel 1154, Edrisi nel suo Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo pone, nella zona di Castel- vetrano, i casali Qasr’ ibn Mankud, Bilgah (Bilici), Al Asnam (Selinunte), Rahal al Qayd.

Poco più di un secolo dopo, dei casali menzionati da Edrisi non resta traccia, se è vero che statistiche ed elenchi dell’amministrazione angioina li ignorano. Notiamo come nell’elenco delle 51 città della Sicilia Ultra (al di là del Salso), dove, nel 1279, Carlo d’Angiò ordina la distribuzione di nuova moneta, Castelvetrano occupa un non disprezzabile ventiduesimo posto. E del resto, anche l’esame delle collette versate dalle città siciliane alla Curia Regia vede Castelvetrano passare dalle 60 oncie e 18 tarì, pagate nel 1277, alle 123 oncie pagate nel 1283; indizio chiaro o di un centro già da tempo in via di graduale crescita, ovvero dell’improvvisa espansione di un insediamento affatto nuovo.Ora, molti studiosi, sia del passato sia moderni, hanno proposto di agganciare Castelvetrano con centri arabi di cui, poi, si è perduta memoria. Così il Ferrigno, argomentando su un calcolo di distanze, peraltro criticato da Varvaro Bruno, identifica Castelvetrano col sito di Rahl al Qayd; mentre D’Angelo, senza però spiegarne il motivo, propone il collegamento con Qasr ibn Mankud.

Quale che sia la possibile identificazione, appare plausibile che su un eventuale agglomerato preesistente, anche di piccola dimensione, a causa della buona posizione e della terra fertile, sia venuta concentrandosi tutta quella popolazione rurale che, fuggita da altri casali sparsi nel territorio, si sia qui rifugiata e stabilmente insediata.E’ probabile che questo processo sia venuto maturando a partire dal XIII sec., in seguito a quel sommovimento economico e sociale cui prima si accennava. Ciò spiegherebbe il fatto che di Castelvetrano non si parla, come centro abitato, né nel diploma di fondazione della diocesi mazarese nel 1093, né in quello di conferma del 1100; mentre si cita che nel 1273 Castelvetrano paga le sue decime al vescovo di Mazara.

E’ probabile, comunque, che il toponimo Castrum Veteranum, prima ancora di indicare un centro abitato, abbia designato una località, un incrocio di vie di comunicazione, contraddistinto, forse, da un qualche rudere di fortezza selinuntina, romana o bizantina, sede probabile di un antico insediamento, come attestano i ritrovamenti di tombe, cisterne e varia ceramica proprio dove oggi si estende la città.

Del resto, un diploma risalente al 1124, proveniente dal monastero di S. Michele di Mazara, nel definire i confini di alcune proprietà delle monache, cita una strada “che sale da Mazara a Castelvetrano”.

In ogni caso, pur ammettendo l’esistenza di un centro abitato in epoca remota (Legum, Entella, Gaito, ecc.), o la possibilità di una frazione agricola o di una fortificazione selinuntina, va detto che Castel- vetrano acquista una sua precisa identità a partire dal XIII secolo.Il toponimo riappare nel 1299, allorquando il re Federico III, con un diploma dato a Polizzi, concede la terra di Castelvetrano, strappata per fellonia a Tomaso da Lentini, in baronia a Bartolomeo Tagliavia.

Di qui in avanti, la storia della nostra città si intreccia con quella dei Tagliavia, i quali, attraverso un’abile politica espansionistica e matrimoniale, assurgeranno a grande prestigio e potenza, avviando lo sviluppo di Castelvetrano che diverrà la piccola “capitale” di tutti i loro feudi e baronie.Leggendo il testamento di Nino I Tagliavia, secondo barone di Castelvetrano, notiamo come egli leghi all’”opera di Santa Maria” (la Chiesa Madre) la rendita di un’oncia, e assegni all’erigenda chiesa di San Gandolfo (l’odierna chiesa dell’Annunziata o della Badia) 300 tegole.

Ciò conferma l’espandersi del borgo per una seconda chiesa, S. Gandolfo appunto, di cui erano in corso i lavori di copertura.Alla fine del XIV sec. la città doveva avere una cortina muraria e opere di fortificazione, probabilmente il castello, del cui primitivo assetto oggi rimane soltanto una torre ottagonale.

Deduciamo ciò considerando che, nel 1411, Castelvetrano aderì ad una federazione di città, sorta per contrastare il maestro giustiziere di Modica, Cabrera, e salvaguardare i diritti della regina Bianca.Se Nino II Tagliavia potè firmare l’intesa nel castello di Salemi, è impensabile che quel feudatario non avesse alle spalle un adeguato luogo di sostegno e difesa.

D’altra parte, che la città fosse fortificata si deduce anche dal fatto che l’antica chiesa di S. Giovanni, la cui data di fondazione è il 1412, sorse extra moenia , e così pure, cinquant’anni dopo circa, la chiesa di Santa Maria di Gesù, perché l’antica cerchia era già inadeguata a contenere una città in espansione.

Nella seconda metà del ‘400, alla fine di una disputa di successione, la baronia di Castelvetrano venne in possesso di Nino III Tagliavia, fratello minore di Giovanni, in virtù del vincolo “primogenitale agnatizio” imposto per testamento a tutta la discendenza da Nino I. Giovanni Tagliavia, infatti, non ebbe figli maschi, ma una unica figlia, Margheritella, esclusa quindi dalla trasmissione di titoli e baronie.

Nino III Tagliavia fissò dimora stabile a Castelvetrano, preferendola a Sciacca, e da allora nella “città palmosa” risiederanno tutti i suoi discendenti, finché impegni di governo e incarichi sovrani non li porteranno fuori dalla Sicilia e dall’Italia.

Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, Castelvetrano conobbe il suo massimo splendore per l’abile politica espansionistica dei suoi signori che, come già detto, fecero della nostra città il centro dei loro possedimenti.

Carlo V, nel 1522, elevò Castelvetrano a contea; Filippo II, nel 1564, la eresse a principato.

L’assegnazione di terre in enfiteusi e in affitto, che comportava la valorizzazione di plaghe prima incolte; l’introduzione di metodi di coltivazione più intensiva e razionale; l’adozione di colture più redditizie, determinarono una rapida ascesa di Castelvetrano in campo agricolo e produttivo, economico, demografico, urbanistico e sociale. Sorsero in questi anni, o furono ingrandite e abbellite, le chiese di S. Domenico, del Carmine (1509), della Madrice (1520), di S. Lucia (1521), dell’Annunziata o della Badia (1526).Il merito di aver dato avvio a tante fabbriche va a Giovan Vincenzo Tagliavia, primo conte di Castelvetrano, a cui va anche il riconoscimento per aver dato inizio alla colonizzazione di Burgio Millusio (l’odierna Menfi), estendendo su quella zona gli interessi socio-economici di Castelvetrano; e di aver ottenuto da Carlo V il privilegio dipoter esercitare in città li giochi de l’armi, compreso quello del toro. Nel 1516 anche Castelvetrano partecipò alla sollevazione dei vassali contro i baroni.

In quella occasione, Giovan Vincenzo Tagliavia – uomo incline al negoziato e al compromesso, pur tenendo fermi gli obiettivi di fondo della sua linea politica – compose pacificamente la vertenza; per Castelvetrano, sulla pubblica piazza, alla presenza del popolo e di testimoni nobili del contado e delle terre vicine, giurò l’accoglimento e il rispetto delle richieste dei cittadini, prima fra tutte l’abolizione della cosiddetta tassa del mal denaro, un supplemento cioè del dazio sulla carne e sul vino, che, nonostante fosse stata imposto nel 1499 con un termine di 15 anni, era stata riscosso oltre il previsto. Il Ferrigno osserva che la riscossione della tassa del maldenaro era sicuramente un abuso, e infatti Giovan Vincenzo Tagliavia, a discarico di sua coscienza, impose per testamento al figlio Giovanni di costruire a sue spese il coro e la tribuna della erigenda Matrice, a compenso delle somme indebitamente percepite.

Castelvetrano raggiunse l’apice del suo sviluppo con Carlo d’Aragona (i Tagliavia avevano aggiunto al loro tale cognome da Beatrice d’Aragona, sposa di Giovan Vincenzo, e nonna di Carlo) il Magnus Siculus, ricordato dal Manzoni quale governatore dello Stato di Milano nel 1582. Il Giarrizzo definisce don Carlo come il più attivo protagonista della politica siciliana del suo tempo, promotore e interprete di quel “nazionalismo isolano” che assegnava alla Sicilia un ruolo preminente nella strategia di difesa dei domini spagnoli e dei confini della cristianità nel Mediterraneo. Con Carlo d’Aragona e Tagliavia, primo principe di Castelvetrano, furono realizzate importanti opere sociali. Nel 1549 fu fondato il Monte di Pietà per assistere i poveri e bisognosi della città mediante rendite assicurate sia dal Principe sia da altri illustri cittadini, così come leggiamo agli atti di notar Antonino Abitabile.Tra il 1543 e il 1549 venne costituita la Compagnia dei Bianchi, con oratorio in S. Antonio Abate, tanto per la cura dell’infermi, quanto per conforto ed assistenza de’ Miserabili condannatai a morte. L’amministrazione della città fu snellita e resa più razionale, portando a quaranta il numero della deputazione dei consiglieri, assegnando ventiquattro seggi ai nobili, dodici agli artefici, quattro ai borgesi, secondo un criterio di ripartizione non rispondente ai moderni concetti di democrazia, per altro ignorati e incomprensibili a quei tempi. Nel consiglio civico dell’8 maggio 1575, don Carlo sollevò il problema dell’approvvigionamento idrico della città mediante l’acqua di Bigini, dando inizio a un’opera, colossale per l’epoca, che, a causa di opposizioni e difficoltà varie, fu completata nel 1615, come può leggersi sulla lapide della fontana della Ninfa, fatta costruire per l’occasione da Giovanni III d’Aragona e realizzata dall’architetto napoletano Orazio Nigrone.

Sempre in quegli anni furono costruiti o ingranditi diversi conventi, erette nuove chiese, formate numerose compagnie e confraternite, come risulta, tra l’altro, dal testamento di Giorgio Tagliavia, stilato nel gennaio del 1578. La città prosperò, si arricchì di monumenti e opere di talento, divenendo centro di un fiorente artigianato e sede di laboratori d’arte. Ricordiamo che proprio a Castelvetrano si stabilì, chiamatovi dal principe Carlo, il celebre plastificatore Antonino Ferraro da Giuliana, capostipite di una illustre generazione di artisti dello stucco (Tommaso, Antonino jr:) e di pittori (Tommaso, Orazio), le cui opere ancora ammiriamo nelle chiese di San Domenico, Matrice, San Giuseppe. Anche la situazione economica conobbe un netto miglioramento; lo deduciamo dal fatto che dal 1556 al 1576 il reddito lordo dei pascoli, gabelle, mulini e censi aumenta del 75%, mentre l’affitto del Borgetto e di Belìce – feudi utilizzati soprattutto per la semina – passa dalle 120 onze del 1562 alle 3650 del 1594, con un incremento del 197%.

Tuttavia, sul finire del secolo, ebbe inizio un lungo periodo di epidemie e cattivi raccolti, ancor più aggravato dalle pesanti estorsioni del fisco. Il notaio Vincenzo Graffeo è il principale testimone della crisi che attanagliò Castelvetrano nei primi anni del Seicento. Nel 1612, ad esempio, l’arrendatario, che aveva appaltato la gabella della macina, non era riuscito a saldare l’importo di 2600 onze, poiché ob malicia temporum non potuit exigere gabellam historum molendorum a suis gabellotis. La stessa fonte, pur registrando un certo incremento demografico e un timido sviluppo edilizio, parla di carestie, siccità, alluvioni, epidemie, soffermandosi in particolare sulla terribile peste del 1624. Ricordiamo ancora una significativa supplica al Viceré in cui, il 10 aprile 1600, li borgesi della cita di Castello Vetrano esponino come pil malo tempo et mortalità di bestiame non pottiro siminari li terri…. item supplicano di non pagari in cuntu alcuno il terragio eccetto a lu herbagiu comu a tempu dellu Ill.mo conti do livares (sic).

In seguito al moto palermitano di Giuseppe D’Alessi, anche il popolo di Castelvetrano, esasperato dalla carestia, nel settembre 1647 insorse; ma la rivolta, guidata dal ceto dei conciapelle, fu crudelmente domata dall’energica donna Stefania Cortes e Mendoza che, in assenza del marito, reggeva il principato.

Nei primi anni del sec. XVIII Castelvetrano partecipò alle vicende siciliane susseguenti al trattato dell’Aja; in particolare, nel febbraio 1720, la città si trovò a dover fronteggiare l’occupazione sia delle truppe austriache sia di quelle spagnole, le quali danneggiarono gravemente il territorio.

Nell’ultima parte del secolo, l’influenza delle riforme del Caracciolo e del Caramanico fece emergere anche a Castelvetrano una certa borghesia illuminata che ebbe modo di far sentire la sua voce nel corso dei primi moti risorgimentali dell’Ottocento.

Nell’aprile 1787, la città ospitò Wolfgang Goethe, che ricorda l’evento nel suo famoso “Viaggio in Italia”.Nel 1812, per circa tre mesi, soggiornò a Castelvetrano, prima di andare in esilio, la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando II.
Sia nel 1820 sia nel 1848 la città insorse contro il dominio borbonico, organizzando la guardia civica e un governo provvisorio, subendo di conseguenza la dura repressione del Filangeri.

Una squadra di “picciotti” castelvetranesi, guidata dal concittadino fra’ Giovanni Pantaleo, incontrò Garibaldi a Salemi, e si distinse, in modo particolare, nella presa del ponte della Guadagna e di porta Sant’Antonino a Palermo. L’Eroe dei due mondi, che aveva onorato Castelvetrano col titolo di “generosa”, la visitò nel luglio 1862, pronunciando dal balcone municipale un memorabile discorso in cui, tra l’altro, rivendicava Roma all’Italia.

Dopo l’annessione, Castelvetrano subì l’influsso della famiglia Saporito, i cui esponenti favorirono il sorgere di nuove attività imprenditoriali – come pastifici, oleifici, fabbriche di sapone – monopolizzando però la vita politica e sociale.
Nel dicembre 1893, la città, aderendo al movimento dei Fasci Siciliani, fu teatro di quattro giorni di violenti tumulti, immortalati nelle stampe dell’abile incisore Ettore Ximenes.

La città diede i natali al grande filosofo Giovanni Gentile, massima espressione del neo-idealismo italiano e artefice, tra l’altro, di una fondamentale riforma della scuola italiana (1923); allo storico e letterato Virgilio Titone, al fisico Mariano Santangelo; al musicista Raffaele Caravaglios.

Costantemente presente negli avvenimenti più significativi della storia siciliana, ai nostri giorni Castelvetrano è il punto di riferimento di tutta la Valle del Belìce, puntando sullo sviluppo turistico e sulla valorizzazione delle risorse agricole vitivinicole e olearie.

Lo stemma cittadino è costituito dalla palma d’oro dei Tagliavia, in campo turchino, e dalla legenda “Palmosa Civitas Castrum Vetranum”, con chiaro riferimento a Selinunte, definita appunto “palmosa” nel terzo canto dell’Eneide di Virgilio.
Tra le manifestazioni che si svolgono a Castelvetrano va ricordata, innazitutto la cosiddetta ”Aurora” che si tiene, ininterrottamente dal 1660, la mattina di Pasqua: nella piazza del Duomo, cosparsa di foglie e fiori, si rappresenta l’incontro del Cristo risorto, posto ad una estremità del “piano”, con la Vergine ancora in lutto collocata all’altro lato; fra due ali di folla, un Angelo per tre volte porta il lieto annuncio alla Madonna incredula; finalmente la Madre va verso il Figlio che porta una bandiera fiammante; un meccanismo fa aprire le braccia di Maria, il manto nero cade mentre un volo di colombe si libera nel cielo.

Altra ricorrenza religiosa particolarmente sentita è la festa del Sacro Cuore di Maria a Marinella di Selinunte: per l’occasione, oltre alla suggestiva processione a mare del simulacro della Vergine, accompagnato da un corteo di barche illuminate a festa, si tiene la sagra del pesce azzurro seguita dai giochi tipici della tradizione marinara.

Durante l’estate vengono organizzate, sia a Marinella che a Triscina di Selinunte, diverse manifestazioni: balletti classici e moderni, rassegne di prosa e di cinema, concerti, mostre, gare sportive, ecc.

A Settembre ha luogo la tradizionale Fiera della Tagliata, che da qualche tempo si cerca di caratterizare soprattutto come mostra dell’artigianato locale.

Nel corso dell’anno si svolge ancora una grande fiera dell’Agricoltura e una sull’olio e l’oliva da mensa “Nocellara del Belìce”, tipica della zona.

Altro momento di aggregazione è costituito dal Carnevale: per le strade della città sfilano carri e gruppi mascherati, in particolare il carro del “Nannu e la Nanna”; l’ultima sera di festa, nella piazza Carlo d’Aragona si legge il “testamento di lu Nannu”: i personaggi più in vista e i fatti più notevoli vengono passati in rassegna in modo ironico e, a volte, licenzioso; si procede quindi alla “abbruciatina” dei Nanni, metafora dell’esistenza di continuo rinascere e perire.

A Maggio si svolge il grande corteo storico di S. Rita e della nobiltà castelvetranese, e a Giugno la festa e la fiera di S. Giovanni Battista, patrono principale della città.

a cura di: Francesco Saverio Calcara

Ultimo aggiornamento

Martedi 09 Maggio 2023